Rizzoli Lizard - Jan Karski, l'uomo che scopr l'Olocausto, la recensione
Bel volume dedicato a un personaggio quasi sconosciuto protagonista positivo della Shoah
21/04/2014Inascoltato: è questo l'aggettivo più ricorrente che si accosta al sostantivo testimone se si fa una qualche ricerca sul personaggio di Jan Karski.
La Rizzoli Lizard presenta un volume dalla curata ed ottima realizzazione editoriale scritto da Marco Rizzo, con i disegni di Lelio Bonaccorso e i colori di Chiara Arena, Claudio Naccari e Giulio Rincione nel quale si raccontano le vicende di Jan Kozielewski, meglio conosciuto come Jan Karski.
Polacco, militare durante il periodo della seconda guerra mondiale, Karski, lo leggeremo nel volume, è stato uno dei primi al mondo a riuscire a far circolare al di fuori della Germania e dei territori occupati informazioni complete e precise sul cosa stessero realmente realizzando i militari tedeschi in termini di repressione e sterminio degli ebrei.
Come nei precedenti volumi nei quali ha affrontato la narrazione di vicende e personaggi realmente esistiti (citiamo solo quelli realizzati in coppia con lo stesso disegnatore Bonaccorso, Que viva el Che Guevara, Gli ultimi giorni di Marco Pantani, Peppino Impastato. Un giullare contro la mafia) l'autore deve districarsi fra la lista degli eventi realmente avvenuti e dei personaggi realmente esistiti e le esigenze narrative del racchiudere la storia di una vita in un numero limitate di pagine cercando di rendere il tutto omogeneo e interessante. Pertanto, come spiegato in calce, alcuni passaggi e alcuni personaggi sono stati compressi o cambiati per esigenze narrative. Quel che conta, però, è che il grosso dell'impianto delle vicende è realmente accaduto e, francamente, la cosa non è semplice né da credere né, una volta appurato che così è, da digerire.
Le vicende raccontate sono quelle di un polacco, Jan Karski, che a cavallo della seconda guerra mondiale si è trovato ad agire, per puro spirito patriottico prima e poi umanitario tout court come agente segreto per portare fuori dalla Polonia e dai territori occupati dalla Germania nazista informazioni (prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti) in merito a ciò che realmente stava accadendo; quel che lascia perplessi nella vicenda è come lo sforzo di Karski, spinto da una forza di volontà davvero superiore, non sia servito quasi a nulla visto che, al di fuori della Polonia, i suoi racconti venivano raccolti con stupore e con grande diffidenza. Inascoltato, dicevamo, ed è questo ciò che causa il senso di impotenza che resta nei lettori alla fine del volume; la sua storia, quella che aveva raccontato in giro per il mondo, ai potenti di turno, era rimasta inascoltata. "Spero che qualcun altro voglia ascoltarla" dice, alla fine di questo albo, aggiungendo "Prima che sia troppo tardi". Non è con i se e con i ma che si fa la storia, si suol dire e non staremo qui a pensare a cosa sarebbe successo se Karski fosse stato ascoltato però, ovviamente, il senso di rabbia e di occasione persa è veramente forte.
La narrazione di Rizzo è ortograficamente molto interessante; non omette quasi nessuno degli stilemi narrativi che il fumetto annovera fra i suoi strumenti di comunicazione. Dalla tavola con un numero enorme di vignette tutte della stessa dimensione a raccontare eventi drammatici, senza sonoro, in rapidissima successione, come in un rallenty muto alla splash page drammatica alla fine del capitolo (ad aumentare il climax, che si scioglierà ovviamente nelle prime pagine del capitolo seguente). Dal testo scritto "a macchina da scrivere" di spalla alle immagini per riportare le parole (adattate) del protagonista così come nel suo libro Jan Karski, la mia testimonianza davanti al mondo. Storia di uno Stato segreto aalla tavola a disegno unico scomposta in vignette divise dagli spazi bianchi, alla vignetta nella vignetta (effetto PIP…). Insomma una buona lezione delle possibilità del mezzo, senza strafare, avendo comunque come linea guida a 6/8 vignette con variazioni spesso dovute alla presenza di vignette orizzontali a tutta larghezza di tavola.
Ciò che da sempre mi attira nell'arte di Lelio Bonaccorso è quella caratteristica che si può riconoscere in molti altri autori (Guarnido, il recentemente recensito Lorenzo De Felici, per fare i primi due nomi che mi vengono in mente) e che in questo volume, finalmente a colori dopo molti albi in bianco e nero e soprattutto ben colorato e molto ben stampato, spicca ancor di più se possibile: la capacità di calare in contesti scenografici realistici personaggi definiti con una anatomia realistica ma con una lettura particolare, singolare, autonoma, "alla Bonaccorso", in pratica, caratterizzante sia i volti che le silhouette. Forse più facile da vedere che da spiegare, in effetti, il tutto si può sintetizzare sottolineando come Lelio distorca con tratto lievemente cartoonesco sia i lineamenti che le anatomie pur consegnandoci un fumetto che ha piena credibilità e drammaticità.
La sua interpretazione, il suo filtro grafico ci consegna le sensazioni, le emozioni così come immaginate dallo scrittore senza che la sua mano o il lievemente grottesco infici il risultato finale. Paradossalmente poi, in un volume in cui più di tutti gli altri precedentemente citati il bianco e nero o la scala di grigio sarebbero stati adeguati (vedi i tanti precedenti, da Auschwitz a Jossel), il colore aumenta il senso di verosimiglianza del disegno rendendo l'atmosfera sovente cupa e grigia. Menzione speciale, per quel che riguarda le colorazioni, per la leggerezza con cui sono trattati i volti, sovente resi con una sola velatura (o due) senza una ricerca ossessiva ed eccessiva di effetti speciali, ma solo ad "accompagnare il disegno" e la resa, molto delicata e particolareggiata, dei cieli.
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