Pasquale Frisenda

Lame rotanti e Alabarde spaziali: arriva 'Atlas Ufo Robot'

In un tardo pomeriggio di 35 anni fa, nell'immaginario dei bambini irrompe un eroe spaziale...

03/04/2013
Lame rotanti e Alabarde spaziali: arriva 'Atlas Ufo Robot'

E' il 4 aprile del 1978, e sulla Rete 2 (oggi Rai 2), nel programma contenitore "Buonasera con..." (condotto in quel periodo da Maria Giovanna Elmi e dal Quartetto Cetra), viene trasmessa la prima puntata di una nuova e anomala serie di cartoni animati: "Atlas Ufo Robot".

L'immaginario dei bambini (ma non solo) di allora ne viene letteralmente travolto: non si era mai visto nulla di simile, non certo un prodotto con quelle caratteristiche e destinato ad un pubblico di ragazzini, abituati come erano (eravamo) a personaggi molto diversi, tipo quelli della Hanna & Barbera (da "" a "" a "") o della Disney, che per quanto appassionanti e divertenti agli occhi di un bambino, risultavano comunque più "normali", più canonici, mentre fin dalla prima puntata, "Goldrake" (questo è il nome del gigantesco e metallico protagonista del nuovo cartoon) si rivela da subito come qualcosa di diverso, di non prevedibile, di "adulto" (anche se pieno di semplificazioni e ingenuità), e questo, forse, soprattutto per l'insolita figura (insolita in un cartone animato, almeno) che guida il possente robot, Actarus, un eroe saggio ed equilibrato, certo, ma anche tormentato e fragile, pieno di nostalgie e rimpianti, capace di soffrire, di commuoversi e anche di piangere.

Un'esplosione di azione e colori (anche se molti, me compreso, in quegli anni lo videro in bianco e nero), di musiche e suoni, di "tecnologici" ordini urlati con grande enfasi e nomi improbabili che diventano in brevissimo tempo invece estremamente familiari, così tanto da entrare nell'immaginario o nel lessico comune dell'intero paese.
"Atlas Ufo Robot" è il primo anime (oggi termine normalmente usato per chiamare i cartoni animati giapponesi, mentre allora assolutamente sconosciuto) di genere mecha ad arrivare in Italia, comprato dalla Rai quasi per caso e solo perché due dirigenti della televisione nazionale, Nicoletta Artom (curatrice di diversi programmi per ragazzi della Rai) e il suo collega Sergio Trinchero, lo notarono, tra altre proposte, in una mostra mercato di prodotti televisivi in Francia nel 1976 (in Giappone la serie era ancora in corso), e si interessarono al personaggio.
Il cartoon era stato ampiamente rimaneggiato dalla francese Antenne 2, occidentalizzandolo il più possibile, arrivando anche cambiare anche i nomi dei personaggi (chiamandoli come stelle o costellazioni, tipo Actarus, appunto, o Rigel, Mizar, e via dicendo...), ma ancora non sembrava sufficiente per i responsabili delle trasmissioni di quella emittente, che, preoccupati dall'insolito prodotto, alla fine decisero addirittura di vedere prima che effetto fa il cartone animato in Italia e poi prendere la decisione se mandarlo in onda o meno.

La serie in Francia alla fine ci arriverà (anche se solo nell'estate del 1978), perché qui in Italia "Atlas Ufo Robot" ha un successo incredibile, e un'intera generazione di bambini e ragazzini (ma anche moltissimi adulti) ci si appassiona istantaneamente.
Di una vera "Goldrake mania" si può parlare, perché il personaggio spopola in ogni dove e su ogni supporto immaginabile.
Tanto per capirci, il 45 giri che contiene le due sigle del cartone, "Ufo Robot" e "Shooting star", riesce a vendere la bellezza di 1.000.000 di copie (anche se gli autori, Luigi Albertelli, Vince Tempera e Ares Tavolazzi, le hanno scritte praticamente improvvisando tutto, senza sapere quasi nulla del cartoon, potendolo vedere solo in un video, per di più in originale. Nella sigla per la di "Goldrake" i riferimenti saranno invece molto più precisi), vincendo il disco d'oro di quell'anno, e nel tardo pomeriggio di ogni giorno milioni di persone di ogni età le ascoltano ritrovandosi davanti alla televisione per seguire le avventure del nuovo eroe.
Curiosamente, anche l'evocativo titolo con cui poi la serie viene presentata in Italia, "Atlas Ufo Robot", è frutto di un caso (o un errore), perché quella era la scritta sulla guida al cartoon che i dirigenti francesi mandarono in Rai per realizzarne la versione italiana, appunto, ma che fu scambiato invece per il titolo vero e proprio e tale rimase.

Il riscontro avuto dalla trasmissione fa rivolgere di nuovo lo sguardo dei produttori della Rai verso il Giappone, alla ricerca di nuovi titoli da proporre.
Ne troveranno a bizzeffe, ma questo significherà un brutto segnale per le produzioni televisive a cartoni animati di casa nostra, anche per quelle che si erano affermate tra il pubblico, come "Gulp!" e "", che non trovando più investimenti scompariranno da li a poco (e questo per la miopia e la poca lungimiranza dei dirigenti televisivi).

Ma il successo di "Goldrake" non passa senza conseguenze, e le scene di battaglia che contiene mettono in allarme anche i genitori di molti bambini, i soliti, eccentrici benpensanti e anche qualche politico, evidentemente più preoccupato degli eventuali danni che può provocare quel cartone animato nella testa dei giovani, oltre che nella società italiana, ovviamente, piuttosto che tutto quello che invece si legge sui giornali o si sente in tv in quegli anni (e anche dopo, ahinoi).
Ad un certo punto si parla anche di una convocazione parlamentare, ma che si rivela falsa (guai maggiori, in tal senso, li hanno avuti fumetti come "Diabolik" o, più recentemente, "Dylan Dog").
La Rai, comunque, e anche a causa di quelle polemiche, dopo "Goldrake" e "Mazinga Z" rinuncerà alla programmazione di nuovi cartoni animati giapponesi, il tutto a favore di molte televisioni private che in quegli anni si stanno affermando.


Creato da Go Nagai nel 1975 (e a fumetti nel 1973), "Goldrake" è in realtà la terza serie "robotica" dell'autore giapponese, che chiude in qualche modo (ma in maniera temporanea) il "ciclo dei Mazinga".
Dotato di una debordante, incontenibile fantasia, Kiyhioshi "Go" Nagai (nato a Wajima, in Giappone, il 6 settembre 1945. Un mese prima, su due città di quel paese vengono gettate le due bombe atomiche che pongono in qualche modo fine alla disastrosa Seconda Guerra Mondiale. Nessun autore giapponese nato dopo quell'evento non ricorderà nella sua opera quelle tragedie, in un modo o nell'altro, Nagai compreso) ha saputo creare universi immaginari dove ogni ragazzino di allora è riuscito ad immergersi, a sognare e a spaventarsi nello stesso momento, ma anche riconoscendo sempre il filo conduttore di giusti sentimenti in lotta contro il male.
Malgrado la violenza esibita (superiore di certo alla media mostrata nei cartoon americani di allora, anche perché diversi personaggi muoiono durante la serie e in ogni episodio di "Goldrake" molti nemici sono uccisi) non è sbagliato affermare infatti che i personaggi di Go Nagai hanno sempre veicolato valori molto forti come l'amicizia, l'onore e il senso profondo del dovere.

Nagai è comunemente considerato il principe dei "manga" (i fumetti giapponesi), tanto da essere considerato di fatto il più grande autore vivente del settore.
Il motivo di questa considerazione risiede nei titoli che ha ideato, e chiunque in Italia ha vissuto l'epopea robotica degli anni '80 (ma non solo) sa cosa significano: "Mazinga Z", "Il grande Mazinga", "Jeeg, il robot d'acciaio", "Goldrake", "Getter Robot", "Gaiking" e "Devilman" (quest'ultimo in particolare, del 1972, subito apprezzato dai giovani lettori e spettatori nipponici, è da molti considerato, per le inedite sottigliezze psicologiche, il suo capolavoro).
Nagai si è poi imposto anche con altre serie e personaggi, di genere dichiaratamente comico ma spesso con elementi erotici ben presenti e neanche troppo velati.

"Se dalla mia macchina potessero uscire gambe e braccia per scavalcare questa coda infinita... come mi piacerebbe!", è proprio da questa semplice idea, che venne in mente a Nagai un giorno in cui si trovò imbottigliato nel traffico, nacque il primo dei suoi giganteschi eroi meccanici: "Mazinga Z".
Prima o parallelamente a lui, altri autori avevano immaginato personaggi simili, basti pensare a "" ("Tetsujin 28 Go", 1963) di Mitsuteru Yokoyama, "" ("Asutoroganga", 1972) di Tetsuhisa Suzukawa, o anche all'"" ("Tetsuwan Atomu", 1952) del grande Osamu Tezuka, che però sono serie che puntano ancora tutto o quasi sull'avventura, spesso spensierata, e dove i protagonisti sono sempre e comunque dei bambini.
Il primo robot gigante di Nagai sembra avere invece una marcia in più (per così dire), un'anima diversa, e praticamente dal suo esordio, avvenuto in Giappone nel 1972 su Fuji TV, "Mazinga Z" ("Majingā Z") diventa un successo straordinario, consacrando Koji Kabuto (il giovane pilota del robot, in Italia conosciuto anche come Rio Kabuto, un ragazzo orfano e ribelle che però ha a carico suo fratello più piccolo, Shiro, e che dovrà fare i conti con la pesante eredità in fatto di impegno e responsabilità che suo nonno, uno dei più grandi scienziati del Giappone, gli ha lasciato) come uno dei personaggi più amati di sempre in quel paese.
Dopo l'episodio finale di "Mazinga Z", segue, praticamente senza interruzione, "Il grande Mazinga" ("Gureto Majinga", 1974), una nuova serie in cui gli autori sviluppano il mondo della precedente e molte delle tematiche care a Nagai (da sempre attento al mondo giovanile - e Nagai, allora, non ha ancora compiuto 30 anni - come molte storie anche di questa serie poi testimonieranno).

Ma, pur se apprezzato, il nuovo robot (come il suo problematico pilota, Tetsuya Tsurugi, più tormentato e cupo di Koji Kabuto) non ottiene il successo sperato, e la Toei Animation, la casa di produzione del cartoon, fa pressioni su Nagai perché lo chiuda e lo sostituisca con qualcos'altro.
Abbandonata l'idea della terza serie sui "Mazinga" ("", che verrà realizzata solo nel 1984), Go Nagai riprende in mano un suo mediometraggio (sempre del 1975 e che ha da poco esordito al cinema con successo), una storia di dischi volanti mischiata abilmente con un suo fumetto di qualche hanno prima ed elementi presi di peso dalla vicenda di "Giulietta e Romeo".

"Uchū enban daisensō" ("La grande battaglia dei dischi spaziali"), questo è il titolo del film che fu alla base per lo sviluppo della serie televisiva di "Goldrake" e che, in seguito, dalla sua trama vennero tratti gli ultimi tre episodi della stessa. 

La caratterizzazione dei personaggi era comunque molto diversa, e anche lo stesso robot (chiamato Gattiger e disegnato da Tadanao Tsuji, un disegnatore meno fantasioso e più "tecnico" rispetto a Nagai), compariva solo brevemente alla fine della storia ed era completamente differente nel mecha design da Goldrake, mentre il vero protagonista del racconto è il pilota, anch'egli differente nell'aspetto e nei colori della livrea rispetto alla divisa da combattimento indossata poi da Actarus in "Atlas Ufo Robot".
Differenti erano in buona parte anche i nemici, mentre la cabina di guida di Gattiger era molto simile a quella già vista in "Mazinga Z" ed era già presente anche la curiosa atmosfera country che si vedrà anche in "Goldrake".
Il passaggio dal mediometraggio all'anime televisivo avvenne anche per insistenza della Popy, ramo della Bandai, noto marchio giapponese produttore di giocattoli e videogiochi.
Fu sempre la Popy a chiedere a Nagai di disegnare a Goldrake le gambe più corte e tozze rispetto a quelle fatte per i due Mazinga, in modo da facilitare il mantenimento della posizione eretta dei futuri modellini.
La casa di produzione di cartoni animati Toei Animation è interessata a produrre la serie, ma il tempo concesso all'autore è davvero limitatissimo (circa due mesi).

Nagai e i suoi collaboratori si mettono al lavoro, cercando di reggere un ritmo di produzione davvero forsennato, e così comincia a prendere forma "Ufo Robot Grendizer" (questo è il titolo originale del cartoon).
Non mancheranno dubbi, ripensamenti, imprecisioni (persino l'uscita del robot dal disco volante che lo contiene è messa in dubbio fino alla fine, e le immagini che compongono la sigla mostrano ad esempio un'evidente contraddizione rispetto a quello che poi si vedrà regolarmente nella serie) e, infine, tensioni fra Go Nagai e la Toei Animation, che si rifletteranno inevitabilmente sul risultato finale, anche se sia il livello di animazione che quello narrativo si mantengono sempre nello standard degli altri lavori di Nagai.
Il maggior contrasto arriva però per l'opposizione netta che l'autore mostra verso l'utilizzo in questo nuovo progetto del personaggio di Koji Kabuto, che qui dovrebbe avere solo un ruolo di secondo piano, per permettere ad Actarus (Daisuke Umon, in originale) e alla sua storia (è un sopravvissuto di un pianeta lontano - dove era un principe di nome Duke Fleed sopraffatto dalle forze dell'Impero del malvagio Re Vega) di avere più spazio possibile.
La produzione insiste e alla fine la spunta, inserendo il pilota di Mazinga Z fin dalla prima puntata (anzi, è il primo personaggio che si vede).
Ma la presenza di Koji in "Atlas Ufo Robot", anche se solo come spalla dell'eroe, permette comunque alla Toei di creare una continuità con le prime due serie di Nagai, e anche l'aspetto del robot, opera di Kazuo Komatsubara (sostituito dal celebre disegnatore Shingo Araki a partire dall'episodio 49, che apre di fatto una seconda serie dedicata a "Goldrake"), viene modificato per ricordare il più possibile, anche nei colori, i due Mazinga.
A differenza delle prime due serie, però la Toei punta anche a conquistare il pubblico femminile (riuscendoci), e qui la scelta del carattere di Actarus, molto più romantico e sensibile di Koji e Tetsuya.
L'inserimento forzato di Koji (ribattezzato Alcor, sia in Francia che in Italia) comunque si nota, e gli spettatori nipponici non gradiscono molto la cosa, anche se la serie regge comunque bene in fatto di ascolti, quasi fino alla fine.

Per la Toei, Go Nagai realizza anche altre serie di successo, come "Getter Robot", del 1974 (conosciuta in Italia anche come ""), che è il capostipite dei robot trasformabili, con tre piloti che guidano altrettanti veicoli volanti in grado di combinarsi in tre versioni differenti - e con differenti capacità - di un unico robot gigante (il nome del robot ricorda, nella sua pronuncia, la parola giapponese che indica la "combinazione", ovvero "gattai").
La serie riscuote molto consenso, tale da generare numerosi seguiti ("Getter Robot G", "Getter Robot Go", "Shin Getter Robot"), remake ("Getter Robot - The Last Day", "Neo Getter Robot", "Getter Robot re:model" etc... etc...), e fornisce lo spunto per molte altre serie su robot componibili.
L'anno dopo arriva poi uno dei personaggi più noti di Nagai, "Jeeg robot, uomo d'acciaio" ("Kōtetsu Jīgu", 1975): la serie è stata trasmessa per la prima volta in Italia nel 1979, riscuotendo un notevole successo, paragonabile solo a quello dello stesso "Goldrake".
Jeeg è stato un personaggio ideato fondamentalmente con criteri commerciali, in maniera da collegarlo alla vendita di nuovi giocattoli assemblabili con magneti entrati in produzione in quegli anni (arrivati in Italia con il nome di "I Micronauti"), ma la trama è stata pensata con un'attenzione non comune alla protostoria dell'antico Giappone, e questo considerando anche gli standard degli anime che generalmente contengono molte tracce della cultura nazionale del Sol Levante.
E' proprio questo aspetto che fa la fortuna del cartoon, rendendolo particolare e affascinante.

Nel 1976 arriva invece una definitiva rottura dei rapporti tra Nagai e la Toei, a causa di un ulteriore progetto sviluppato dall'inarrestabile autore, ma che si è visto poi "scippare" senza troppi convenevoli dai dirigenti della casa di produzione, progetto che vedrà poi la luce con il titolo di "Gaiking, il robot guerriero" ("Daikū Maryū Gaiking"), e senza che il nome di Go Nagai compaia mai da nessuna parte.
Questo distacco durerà più di dieci anni.

Ma i bambini italiani e francesi di tutto questo non sanno nulla e si godono il nuovo cartoon per quello che è: uno spettacolo per gli occhi e una novità assoluta, almeno in quegli anni, in fatto di storie raccontate, che porta un genere, la fantascienza, anche alla loro portata (serie come "UFO", "Spazio 1999" o "Star trek" spopolano in tv fra ragazzi un po' più grandi).
"Goldrake" fa poi da definitivo apripista ad una vera e propria invasione di prodotti su quello stile o, in generale, all'animazione giapponese (era stato anticipato solo da poche altre serie prodotte in Giappone).
Oltre i titoli già citati, arrivano poi (in ordine sparso): "", "", "", "", "", "", "", "", "", "", "", "", decine e decine di giganteschi robot, di ogni forma e colore, lottano sullo schermo per accaparrarsi le simpatie del pubblico.
Ma se le forme e le varianti cromatiche sono quasi infinite, le dinamiche narrative invece non si scostano mai troppo da quelle impostate da Nagai; un solo robot protagonista, pilotato da un solo uomo o quasi, un laboratorio e/o stazione spaziale dove il robot è stato creato ed è custodito, una terribile minaccia (aliena o di altra natura) che vuole conquistare il pianeta ma che sembra interessarsi invece quasi solo al Giappone ma poco al resto del mondo (che ricambia non partecipando mai ai conflitti), e via dicendo.

Questo almeno fino all'arrivo di un nuovo titolo che interrompe drasticamente tutto questo: " ("Kidō Senshi Gandamu", del 1979) di Yoshiyuki Tomino.
Prendendo spunto dal romanzo "Fanteria dello spazio" ("Starship troopers", 1959) di Robert Heinlein, un classico della fantascienza americana, gli autori del cartoon raccontano di una guerra del futuro in un modo piuttosto credibile e realistico, dove i robot sono prodotti industriali e dunque realizzati in serie, i "cattivi" non sembrano avere tutti i torti (o i "buoni" non tutte le ragioni), e i personaggi possono anche morire in azione...
Dopo "Gundam", la visione stessa delle serie dei Super Robot cambia totalmente, e il pubblico cerca (e trova) maggiore plausibilità dalle storie narrate.
I robot di Go Nagai, intrisi più di fantasia e magia che di tecnologia e rinchiusi in un microcosmo narrativo che, in qualche modo, risultava anche tranquillizzante, sembrano cedere il passo, ma questo solo in apparenza: negli ultimi anni, Nagai è tornato ad occuparsi di molti dei suoi personaggi robotici, producendo nuove serie praticamente su ognuno di loro (escluso "Goldrake"), che spesso sono ampliamenti (o veri e propri remake) delle storie già raccontate, aggiornate al gusto, allo stile grafico e ai ritmi di oggi.
Non sempre il risultato è convincente, ma in almeno due casi, "" (2001) e "" (del 2007, che è un vero sequel della serie originale), mi sento di dire che la scommessa l'ha pienamente vinta.

Ma i cosiddetti robottoni non sono certo gli unici protagonisti dei cartoon giapponesi che affollano in quegli anni le tv italiane, e anzi esiste ogni possibile variante e tutti i gusti sembrano poter essere accontentati: l'avventura ("", "", "", "", ""), lo sport ("", "", "", "", "", "" "", "", ""), serie venate di malinconie e romanticismo ("", "", ""), classici della letteratura o di ambientazione storica ("", "", "", "", "", "", ""), comici ("", "", "", ""), horror o di situazioni legate a discorsi magici/esoterici ("", "", "").
Arrivano poi i super-eroi dello spazio o tecnologici ("", ""), in particolar modo quelli della casa di produzione Tatsunoko ("", "", "", "", e questo solo per citarne alcuni dei titoli più celebri) o personaggi come "", che raccoglie forse uno degli ultimi, grandi successi di pubblico.
Nel video che segue potete trovare una carrellata di sigle originali dedicata proprio ai robottoni degli anni '60 e '70:

Per non parlare poi di molti telefilm (tipo "", "" o "", debitori sia verso questo tipo di prodotti che di film come "Godzilla"), o serie che abbinano il live-action con l'animazione ("", "").

Ma, oltre ai personaggi, cominciano a emergere e ad essere conosciuti anche i nomi degli autori di queste serie, e qui vorrei segnalare almeno quello di Leiji Matsumoto, il disegnatore che ha dato corpo e anima sia a "Capitan Harlock" che al mondo in cui è immerso.
Matsumoto firmerà poi anche serie come "", "", "", "", ma anche "", il suo unico robot gigante (che anche se è stato realizzato su commissione per conto della Toei Animation, e questo subito dopo l'uscita di scena di Nagai, è comunque degno di nota).
Ovviamente non si può poi non nominare Hayao Miyazaki, che, dopo Osamu Tezuka (considerato una sorta di Walt Disney giapponese), è stato forse l'animatore più influente e importante in Giappone, e che con il suo Studio Ghibli ha prodotto e/o collaborato ad un'infinità di titoli, sia per la televisione ("", "", "", "") che per il grande schermo.

Insomma, è praticamente impossibile citarli tutti, perché la produzione è stata davvero vasta, articolata ed è in continua espansione.
In ogni caso, il fenomeno dei robot giganti a poco a poco si affievolisce, almeno qui in Italia, mentre in Giappone non ha mai conosciuto una vera e propria sosta.
L'ultimo clamoroso successo televisivo in tal senso si ha con "" ("Shin seiki Evangerion", letteralmente "Il Vangelo del nuovo secolo").
Creata dallo Studio Gainax, sceneggiata e diretta da Hideaki Anno, questa è una particolare e complessa serie che unisce trame altamente spettacolari (la minaccia da affrontare questa volta è nientemeno determinata dal giudizio divino) a momenti incredibilmente intimisti, che raccoglie il favore di un largo pubblico in tutto il mondo (Italia compresa).

Ma la produzione di anime non viene più solo proposta in televisione, perché da molti anni ormai sono presenti in Italia decine di negozi specializzati nel genere, che presentano vecchie e nuove serie per il piacere di nostalgici o nuovi appassionati.
Il personaggio di Nagai, infine, trova anche un grande spazio nel web, dove, oltre ai tanti siti dedicati a lui o al suo autore, si trovano anche moltissimi video realizzati per semplice e pura passione dai fans (spesso italiani), in animazione in stile classico o in cgi, e alcuni di essi sono anche più che apprezzabili (ne trovate alcuni esempi , , e ).

Segno che il solco tracciato da nell'immaginario di questo paese è stato ed è rimasto piuttosto profondo.

P.S. Altri articoli, su fumetto, illustrazione, cinema, televisione ed altro, potete trovarli QUI.