Pasquale Frisenda

Settima arte (9): 'M - Il mostro di Dsseldorf' di Fritz Lang (1931)

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17/01/2014
Settima arte (9): 'M - Il mostro di Dsseldorf' di Fritz Lang (1931)

"M - Il mostro di Düsseldorf" di Fritz Lang ("M - Eine stadt sucht einen mörder" - Germania - 1931)

con: Peter Lorre, Gustaf Gründgens, Rudolf Blummer, Ellen Widman, Inge Landgut

"Ero stufo marcio, sai, di film enormi come "Metropolis". Volevo fare un film personale che avesse a che fare con un essere umano, con un male sociale. Così feci "M".
(da un'intervista a Fritz Lang del 1975)

"Una parola sola per qualificarlo: inesorabile. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni taglio, ogni spostamento degli attori, ogni gesto ha qualcosa di decisivo, di inimitabile"
(François Truffaut)

Nel 1931 la Germania è lo scenario di bruschi cambiamenti sociali che sconvolgeranno l'intero assetto sia dell'Europa che del mondo.
In questa situazione generale, Fritz Lang, peraltro di origini ebraiche, vive un'inquietudine premonitrice.
Come se non bastasse, il suo ultimo film, "Metropolis" (che sarà poi considerato un capolavoro del cinema mondiale), era stato un insuccesso di critica e un flop commerciale così clamoroso da trascinare il regista in una sofferta crisi artistica.
L'idea di un nuovo film lo coglie inaspettatamente, ma di certo Lang non dovette faticare molto per trovare ispirazione.
La cronaca giornalistica degli anni '20 aveva infatti riportato tra i numerosi racconti di omicidi seriali: Fritz Haarmann, il cosiddetto "Lupo mannaro di Hannover", che violentò, mutilò, uccise e vendette le carni di oltre 27 vittime; Karl Grossmann, "Il macellaio di Berlino", assassino di oltre 50 prostitute; e, non certo da ultimo, Peter Kürten, "Il vampiro di Düsseldorf", che fornì a Lang - per quanto questi lo negò decisamente - le linee fondamentali per il mostro di "M".

Lang e sua moglie, Thea von Harbou, con la quale scriverà lo script, compiono poi anche numerose ricerche sui delitti a sfondo sessuale, visitando manicomi, prigioni e stazioni di polizia.
Quel che convince definitivamente il regista a realizzare la pellicola è la totale libertà espressiva che gli promette la sua casa di produzione cinematografica, la Nero Film.
"M - Eine stadt sucht einen mörder" ("Una città cerca un assassino") rappresenta l'unica occasione, nella carriera di Lang, di avere il pieno controllo su sceneggiatura e montaggio.
Ciò nonostante il film non avrà facile distribuzione né in Germania né nel resto del mondo (in Italia uscirà addirittura solo nel 1960 col titolo "M - Il mostro di Düsseldorf").

La storia è ambientata a Berlino, dove ormai da tempo delle bambine vengono uccise barbaramente.
Le indagini sono assegnate all'ispettore Lohmann, ma i controlli a tappeto della polizia finiscono per guastare gli affari illegali della città, tanto che il potente boss Schranker, ricercato per triplice omicidio, decide di scovare egli stesso l'infanticida, avvalendosi dell'aiuto delle bande criminali e dei mendicanti della città.
Le ricerche proseguono da ambo le parti e imboccano quasi contemporaneamente la pista giusta.
Tradito dal motivetto che è solito fischiettare, l'assassino viene riconosciuto da un venditore cieco di palloncini e marchiato con una "M" (Mörder/Assassino) tracciata con il gesso sulla giacca.
Catturato dalla squadriglia di Schranker e portato in una vecchia distilleria, l'omicida chiede d'essere processato in un tribunale, ma la folla presente vuole eliminarlo. La polizia arriva appena in tempo per evitare il linciaggio.

"M" è una pellicola rivoluzionaria sotto molti aspetti, non ultimo l'utilizzo del sonoro da parte di Lang, che seppellisce ogni traccia nostalgica del periodo del muto celebrando la nuova tecnica con sorprendente capacità e acume.
Il sonoro è infatti utilizzato come "complemento all'immagine": una parola o una frase possono introdurre nuove scene, oppure anticipare allo spettatore il corso degli eventi, come ad esempio la prima inquadratura completamente nera e la voce di una bambina canta una filastrocca che nomina un "uomo nero"; per strada uno strillone grida il titolo dell'articolo "Chi è l'assassino?" e la macchina da presa inquadra Peter Lorre (l'interprete di "M") al tavolo dietro una finestra.
Fritz Lang sfrutta dunque al massimo la potenzialità espressiva offerta dal nuovo mezzo (dalla sera del 5 ottobre 1927, quando nei cinema americani risuonano per la prima volta durante la proiezione de "Il cantante di Jazz", la prima pellicola sonora, l'innovazione si diffuse tanto velocemente che già nel 1929 la quasi completa totalità delle pellicole sfornate da Hollywood erano sonore), e questa fu una lezione che verrà accolta più o meno consapevolmente da molti suoi colleghi (lo stesso Charlie Chaplin chiuderà due dei suoi migliori titoli, "Il grande dittatore" e "Monsieur Verdoux", con due celebri monologhi).

Sebbene "M" sia considerato un riferimento assoluto dell'espressionismo cinematografico tedesco (impossibile dimenticare i capolavori di quell'epoca, come "Il gabinetto del dottor Caligari" di Robert Wiene, oppure "Aurora" e "Nosferatu" di Friedrich W. Murnau, fino al Georg W. Pabst di "Diario di una donna perduta" e "Lulù, il vaso di Pandora", e ancora il già citato "Metropolis", che probabilmente segnò un punto di non ritorno), alcuni aspetti del film fanno presupporre la volontà del regista di arrivare a realizzare una commistione delle più importanti correnti artistiche di allora, solo apparentemente inconciliabili fra loro.
L'uso del chiaroscuro e delle ombre per la resa dell'inquietudine, la caratterizzazione emotiva dei personaggi e la recitazione enfatica e corporale di Lorre sono tipici dell'espressionismo, ma l'impiego insistito del montaggio alternato, funzionale nel narrare le indagini simultanee della polizia (come quelle dei fuorilegge), è stavolta unito ad una visione delle cose più matura, disincantata, quasi documentaristica.
Il rifiuto delle scenografie fittizie a favore un'ambientazione reale come le strade di Berlino, l'utilizzo del dettaglio e la mobilità della macchina da presa, testimoniano un approccio filmico più tendente al realistico (il movimento implicava un'attenzione psicologica ai personaggi, caratteristica di quella corrente cinematografica, ma in questo caso ritratti come ordinarie persone riprese nel loro ambiente quotidiano).
Il "Mörder" di Lang, per quanto sia fondamentalmente un'alienato, non è come il "Nosferatu" di Murnau, cioè un mostro a tutti gli effetti, non ha fattezze innaturali ne movenze teatrali, ma al contrario è un uomo di sconcertante quotidianità, un cittadino qualunque.

"Credo che la violenza sia diventata un punto fermo di una sceneggiatura, ed è presente per una ragione drammaturgica. Non penso che la gente creda al diavolo con le corna e la coda biforcuta, e quindi non crede alla punizione dopo la morte. Allora mi sono chiesto a cosa crede la gente, o meglio di che cosa abbia paura. Teme il dolore fisico? Il dolore fisico si sprigiona dalla violenza. E' questa, credo, l'unica cosa che la gente realmente teme al giorno d'oggi, e che quindi è diventata una parte ben definita della vita e ovviamente anche della sceneggiatura"
(Da un'intervista a Fritz Lang riportata in "Un viaggio nel cinema americano" di Martin Scorsese)

In questo film l'immaginazione dello spettatore assume un ruolo fondamentale: una bambina fa rimbalzare la sua palla sul manifesto che rende pubblica la ricompensa per chi catturerà l'assassino, dove, all'improvviso vi si riflette un'ombra: è la prima celeberrima comparsa del "Mörder".
Un'inquadratura di autentica suspense che dimostra la propensione di Lang verso il thriller, il poliziesco e il noir, generi che gli permettono di approfondire la psicologia dei personagi trattati e di capire e vedere gli ancestrali terrori della gente.
Naturalmente non era pensabile una rappresentazione esplicita di quel tipo di violenza, che viene invece raccontata attraverso espedienti registici ed interpretativi di grande efficacia (come ad esempio la scena in cui l'omicida intravede su una vetrina - simbolo dei desideri materiali - una ragazzina che gironzola in strada. I coltelli esposti nel negozio creano una cornice allucinata intorno all'immagine riflessa della piccola, mentre il volto di Lorre è deformato da un eccitamento insolito, evidente preannuncio del raptus omicida).
In "M", poi, il crimine viene spogliato da qualunque elemento ammaliante o "seduttivo" presente invece in molti nei gangster movies di quegli anni. L'artefice del crimine può essere davvero chiunque, e nel corso delle indagini si afferma addirittura che "sono gli istinti del momento che fanno l'assassino".

La visione del male come morbo invisibile e tentacolare costringe lo spettatore a immedesimarsi non solo con la vittima, ma anche con l'omicida (il film è narrativamente perfetto, in tal senso), che non significa giustificarne le azioni (è impossibile) ma cercare di vedere almeno da che cosa sono state create, dove (e quando) è nato il male in quell'uomo.
Ma il male o la debolezza individuale - quale può essere la malattia psichica - diviene per Lang l'alibi pretestuoso di un morbo sociale ben più devastante: l'isteria collettiva.
In una scena del film, un vecchietto viene accusato d'essere il "mostro", accusa subito sostenuta dai passanti del momento.
La paura della popolazione sembra dovuta, oltre che alla serie di delitti, alla consapevolezza che il sistema di sicurezza della società è inefficace.
Sebbene la polizia riesca a scoprire l'identità dell'assassino, nessuno si preoccupa di incentivare la vigilanza per le strade.
Paradossalmente sono i mendicanti guidati da Schranker, il capo delle gang cittadine, ad organizzarsi in modo da non perdere di vista le bambine della città, salvandone addirittura una (qui la denuncia sociale sembra assumere una valenza politica, profilandosi come atto d'accusa all'impassibilità del sistema che così facendo da spazio alla possibilità di imporsi a visioni del mondo e della società sempre più castranti e miopi, non ultima quella nazista).
Nella Bibbia si racconta di come Caino, dopo aver ucciso Abele, fosse stato "marchiato" da Dio per evitare che lo linciassero, ma nel film il segno della M sulla spalla dell'omicida (un segno bianco frettolosamente tracciato per distinguere il Mostro dall'uomo comune, fino ad allora ombra tra le ombre) ha un significato del tutto opposto, e l'improvvisato tribunale nella distilleria abbandonata che si vede nella scena finale è l'apoteosi del paradosso.
Lang non lascia molte tracce di speranza in tal senso, ma quello che probabilmente davvero gli interessa è mostrare la sua visione (piuttosto disillusa) dei fatti (non è fra i suoi obiettivi l'indicare una via d'uscita, alla cui esistenza probabilmente nemmeno crede).

Mentre le parole dell'assassino echeggiano nella stanza ("Chi sei tu che vuoi giudicarmi? E chi siete voi? Un branco di assassini!"), vengono inquadrati i volti della folla silente, volti esterrefatti ma partecipi di quel tormento, e molti di loro addirittura annuiscono in segno di comprensione.
L'idea che il male in alcuni casi possa essere "innocente", in quanto frutto in quel caso della deviazione psichica, è dura da accettare per lo spettatore, perché non è ne condannabile ne davvero sradicabile.
Da qui nasce la necessità di contrapporre alla figura dell'assassino uno spaccato d'umanità altrettanto piegata dalla vita.
Nell'irrazionalità della moltitudine, nella logica della sopraffazione, Lang intravede il vero cancro della sua epoca (che porterà da li a poco alla nascita del nazionalsocialismo hitleriano. Ma la visione del regista va anche oltre: "L'assassino è tra noi" - il titolo di lavoro dell'opera - fu letto come riferito ai nazionalsocialisti, mentre in "M" l'occhio del regista si immerge in profondità del mondo tedesco e non solo, ovviamente, dando un profilo impietoso di un'umanità desolata, arrivando a far dire ad un personaggio: "L'assassino siamo noi").

L'omicida di "M" ritornerà sotto altre spoglie in molte creazioni successive di Lang, ma sfortunatamente le produzioni realizzate in America tenderanno ad ingabbiare la vena registica e narrativa (comunque anticonformista) del regista austriaco, non permettendogli più di arrivare ai vertici del periodo tedesco.
"M" resta a tutti gli effetti il film più sincero e profetico di Fritz Lang.
Un'opera a suo modo imponente, che offre ancora oggi un affresco noir sugli scempi che il singolo e le masse possono compiersi a vicenda.

Qui trovate il trailer (accompagnato da "" di Edvard Grieg) e l'inizio del film (entrambi in originale) e una clip (in italiano):

Buona visione!


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