Settima arte (2): 'L'uomo che ride' di Paul Leni (1928)
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18/12/2013"L'uomo che ride" di Paul Leni ("The man who laughs" - USA - 1928)
con: Conrad Veidt, Mary Philbin, Olga Baclanova, Brandon Hurst, Cesare Gravina, Stuart Holmes, Sam De Grasse, George Siegmann, Josephine Crowell
Ambientato nella Londra di fine '700 e tratto dal romanzo "L'homme qui rit" (1869) di Victor Hugo, il film del tedesco Paul Leni racconta la storia di Gwynpaline, un piccolo orfano venduto agli zingari comprachicos e da loro sfigurato.
Una terribile cicatrice che gli attraversa ora il volto, costringendolo ad un ghigno perenne.
Dopo essere stato abbandonato dagli zingari, Gwynplaine, disperato, affamato e a piedi nudi, vaga nella tempesta cercando in qualche modo rifugio e salvezza.
Durante il suo girovagare, si imbatte e salva una bambina cieca la cui madre è appena morta di freddo.
In seguito i due vengono adottati da Ursus, un artista ambulante, vagabondo, poeta e filosofo, un uomo di buon cuore che vorrebbe odiare (e finge di farlo) gli altri e che viaggia con Homo, il suo cane lupo ("Ursus e Homo erano legati da un’amicizia stretta. Ursus era un uomo, Homo era un lupo. Le loro nature erano ben assortite").
Grazie alla sua smorfia artificiale, Gwynplaine diventa un famoso clown (conosciuto come "l'Uomo che ride"), che vive passando di fiera in fiera insieme a Ursus e Dea (la bambina da lui salvata).
Finché un giorno, il ragazzo, cresciuto, non scopre di essere figlio di un aristocratico.
La nuova vita nell'alta società frustra decisamente Gwynplaine, il quale, emarginato dai nobili che vedono ancora in lui un clown o comunque una figura che non riescono ad accettare tra di loro, rimpiange la vita con Dea e Ursus.
Dopo una dura requisitoria contro la nobiltà tenuta alla Camera dei Lord, "L'Uomo che ride" rinnega le proprie origini e sceglie di tornare alla sua vita con i suoi compagni di sempre, ma che nel frattempo sono stati messi al bando...
"L'uomo che ride" è il terzo film americano di Leni, capace di tradurre con grande efficacia - nell'ultimo periodo del cinema muto - il romanticismo del romanzo di Hugo in una versione tanto visionaria quanto malinconica e fatata, di perfetta ispirazione cinematografica espressionista.
Solo il finale risulta diverso da quello più crudo scritto da Hugo (il regista voleva mantenersi in realtà fedele al testo originale, che prevedeva prima la morte di Dea e, subito dopo, quella di Gwynplaine, ma alla fine fu convinto dalla produzione di far terminare la storia con un finale più lieto), ma il film resta la perfetta sintesi degli opposti che nella vita diventano complementari, in cui gioia e dolore sono maschere interscambiabili, ogni gesto d'amore può essere segnato dalla fatica, ogni slancio di emozione dalla sofferenza.
La bocca di Gwynplaine, paralizzata in un grottesco ghigno che non può mai socchiudersi, mai "placarsi", una smorfia che "toglie dignità al dolore e nega credibilità al pianto", diventa il simbolo dell'uomo che è costretto a mostrarsi felice pur soffrendo interiormente per colpa di una società che ne deforma l'intelligenza e ne mutila la ragione.
Il personaggio di Gwynplaine è magistralmente interpretato da Conrad Veidt, che riesce a creare la pietosa, grottesca maschera di un uomo costretto a ridere nonostante i drammi che la vita gli riserva.
L'aspetto raccapricciante del protagonista (all'attore venne impiantata una protesi formata da una dentiera e da ganci metallici che tiravano all'indietro gli angoli della bocca. Nonostante fosse molto scomoda, Veidt la indossò in tutte le scene in cui compariva, anche in quelle nelle quali la sua bocca era coperta da una sciarpa), nonché la crudezza di alcune scene rese tali anche dall'accurata fotografia curata da Gilbert Warrenton, fanno spesso rientrare erroneamente questo film nel genere horror; in realtà molta critica specializzata è concorde nel ritenerlo "un melodramma storico permeato dai dettami del cinema espressionista".
Ecco qui una clip del film:
e un documentario che ne ripercorre la genesi:
Buona visione!
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